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venerdì 31 dicembre 2010

Un bouffon vous souhaite :bon 2011 !

Prendi il nostro popolo...
Non è infatti lo  Stato che dominerà i suoi  amministratori,ma  la  Nazione tutta che  esprimerà uno Stato a  sua  immagine e  somiglianza . Così il nostro Stato futuro,non potendo combattere idee(che  non ci saranno),né reprimere volontà (che non avremo) dovrà limitarsi a regolare e  indirizzare le nostre tendenze apollinee al canto ,all'arte,alla letteratura e  allo sport,riservandosi  il solo controllo  della  Popolarità.Non sei d'accordo? Ma  vorresti forse affidarlo  all'iniziativa  privata?Il nostro futuro si prospetta  quindi lietissimo: cerca  di immaginare  una enorme e  perenne  festa di Piedigrotta,con carri allegorici,tra i quali,naturalmente,il carro dello Stato.
...
Quanto all'assistenza sanitaria,dev'essere  ottima ,visto che non si costruiscono più ospedali( e  si lasciano cadere quelli del '400) ma  soltanto stadi sportivi e  cinematografici.
Ennio Flaiano La solitudine del satiro ( pp.186-7)

giovedì 30 dicembre 2010

libro compagno fedele

Albino  Pierro

NATE'E A TURSE

Struffue e crispèlle

Nd'u piatte cch'i rusette

Dicine n'ata vota:

 iè Natèe ,e u tìvine ca frìiete

ci pàrlete cc 'u cèe

faè nasce tante voce

cchiù duce assèi d'u mée.Nd'i strète c'è n'addore

come di rusmarine

e u fridde l'assincìrite

chi st'aria di matine;Chi fùite, chi chiàmete,

chi sutt'a mascua o 'nmène

(i femmene sutt'u scialle)

portene tutte u ialle.Nd'i chèse si rimìnene,

s'abbràzzene i uagnune

e tutte i cose frùscene

'ncantète com' 'a lune;po quanne s'è scurite

ti pàrete ca i stelle

su' i morte ca s'affollane

'nturne a lu Bambinelle.E tècchete ca sònete

'a chiesia d' 'a Ravatèna

cc' a misse granne e cùrrene

cuntènte i cristiane;ma ié mi stanche preste

di chille cante e scappe,

zumpe da grutte a grutte

nd'i fosse a chèpe suttee allè ci trove 'a nive

e mi ni mange tante

ca si fè ghianche 'a notte

i iè arrivènne sante.



NATALE A TURSI Struffoli e zeppole

nel piatto con le rosette

dicono un'altra volta:

<<è Natale>>;e la padella che frigge

parla col cielo,

fa nascere tante voci

più dolci assai del miele.Nelle strade c'è un odore

come di rosmarino

e il freddo la illimpidisce

quest'aria di mattina;chi fugge, chi chiama,

chi sotto le ascella o in mano

(le donne sotto lo scialle),

portano tutti il gallo.Nelle case si rigirano,

si abbracciano i ragazzi

e tutte le cose fanno rumore

incantate come la luna;poi quando si fa buio

ti sembra che le stelle

siano i morti che s'affollano

attorno al bambinello.Ed eccoti che suona

la chiesa della Rabatana

per la messa grande e corrono

contenti i cristiani;ma io mi stanco presto

di quei canti e scappo,

salto da grotta a grotta

nei fossi a testa in giù;e là trovo la neve

e poi ne mangio tanta

che si fa bianca la notte

e io ridivento santo.

Ricordandola cantata su accordi di chitarra ...

Era pieno inverno.
Soffiava il vento della steppa.
E aveva freddo il neonato nella grotta
Sul pendio della collina.

L'alito del bue lo riscaldava.
Animali domestici
stavano nella grotta,
sulla culla vagava un tiepido vapore.

Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio
e i grani di miglio,
dalle rupi guardavano
assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.

Lontano, la pianura sotto la neve, e il cimitero
e recinti e pietre tombali
e stanghe di carri confitte nella neve,
e sul cimitero il cielo tutto stellato.

E lì accanto, mai vista sino allora,
più modesta d'un lucignolo
alla finestrella d'un capanno,
traluceva una stella sulla strada di Betlemme.



Per quella stessa via, per le stesse contrade
degli angeli andavano, mescolati alla folla.
L'incorporeità li rendeva invisibili,
ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede.

Una folla di popolo si accalcava presso la rupe.
Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri.
E a loro, "chi siete? " domandò Maria.
"Noi, stirpe di pastori e inviati del cielo,
siamo venuti a cantare lodi a voi due".
"Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia".

Nella foschia di cenere, che precede il mattino,
battevano i piedi mulattieri e allevatori.
Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;
e accanto al tronco cavo dell'abbeverata
mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini.

Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava,
come granelli di cenere, le ultime stelle.
E della innumerevole folla solo i Magi
Maria lasciò entrare nell'apertura rocciosa.

Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,
come un raggio di luna dentro un albero cavo.
Invece di calde pelli di pecora,
le labbra d'un asino e le nari d'un bue.

I Magi, nell'ombra, in quel buio di stalla
Sussurravano, trovando a stento le parole.
A un tratto qualcuno, nell'oscurità,
con una mano scostò un poco a sinistra
dalla mangiatoia uno dei tre Magi;
e quello si voltò: dalla soglia, come in visita,
alla Vergine guardava la stella di Natale.